Dopo la Russia a rifuggire le obbligazioni di stato USA è la Turchia. Dopo che Washington ha provocato nel Paese il crollo della valuta nazionale, Ankara ha venduto questi titoli per quasi 4 miliardi di dollari.
Al momento tutta l’attenzione è rivolta alla Cina: qui, infatti, i danni derivanti dalla guerra commerciale avviata dalla Casa Bianca sono di centinaia di miliardi. Pechino possiede un’arma potente: un pacchetto di obbligazioni di stato americane del valore di 1,2 trilioni di dollari.
Se la Cina cominciasse a svenderle, la Casa Bianca non sarebbe in grado di prendere in prestito fondi per la stabilizzazione del proprio budget. Sputnik vi spiega perché sempre meno Paesi intendono fare credito agli USA e cosa succederà se la Cina ridurrà anche solo parzialmente i propri investimenti nel debito americano.
Le sanzioni di aprile e le minacce di escludere la Russia dal sistema internazionale dei pagamenti e di limitare le operazioni con il debito pubblico russo hanno spinto la Banca centrale russa a prendere posizioni decise.
Tra aprile e maggio la Russia ha venduto l’85% del proprio portafoglio di obbligazioni di stato USA: la Banca centrale ha ridotto gli investimenti in treasuries a soli 15 miliardi di dollari quando all’inizio dell’anno superavano i 100 miliardi.
Parallelamente gli USA hanno colpito la Turchia. Dopo che Ankara si è rifiutata di liberare Andrew Brunson, l’americano sospettato di spionaggio, Washington ha raddoppiato i dazi doganali su prodotti turchi in alluminio e acciaio. In seguito a tali dazi, in pochi giorni il cambio della lira turca è crollato di più del 25%. Da gennaio la valuta turca si è deprezzata del 40%.
“Il crollo del cambio della lira è senza dubbio un attacco mirato e premeditato inferto dal maggiore attore finanziario al mondo”, ha osservato il ministro delle Finanze turco Berat Albayrak.
La Banca centrale turca ha dichiarato l’adozione di misure straordinarie che permetterebbero di garantire liquidità al settore finanziario. A tal fine la Banca centrale attingerà circa 10,5 miliardi di dollari dalle riserve.
Inoltre, Ankara sta sistematicamente riducendo gli investimenti nelle obbligazioni di stato USA.
Svendita generalizzata: In tal modo, la Russia e la Turchia non sono più fra gli Stati che detengono la maggior parte del debito americano. Anche altre nazioni hanno optato per disfarsi di questi titoli.
Quello che appare come una tendenza generalizzata era evidente già nel primo semestre dell’anno. Ad aprile il numero di obbligazioni di stato USA nei portafogli dei creditori esteri si è ridotto fino a 6,17 trilioni di dollari.
Si sono disfatti dei treasuries anche il Messico, l’India e Taiwan. Il secondo creditore degli USA per importanza, il Giappone, ha ridotto al minimo i propri investimenti.
Infine, la Cina, leader tra i creditori americani (1,18 trilioni di dollari), ha ridotto il suo pacchetto obbligazionario.
Attenzione alla Cina
Gli osservatori non escludono che Pechino continuerà a disfarsi di questi titoli. Ma questa sarà un’altra storia. Nelle mani di Pechino vi è quasi il 20% del debito americano detenuto da stranieri.
Qualunque operazione che coinvolga volumi più o meno importanti di treasuries può essere pericolosa per il sistema finanziario USA e per il cambio del dollaro.
La guerra commerciale tra Pechino e Washington sta prendendo piede. I dazi reciproci entrati in vigore il 23 agosto rendono difficili i rapporti bilaterali e potrebbero provocare ingenti danni al commercio internazionale. In questa situazione è più probabile che la Cina sfrutti questa sua grande arma.
Se la pazienza di Pechino finisse e i cinesi decidessero di vendere parte dei titoli di debito americani, il loro valore crollerebbe e il rendimento subirebbe un’impennata. Questo renderebbe automaticamente i prestiti per le imprese e per i consumatori americani molto più cari e andrebbe a minare la crescita economica. L’emissione di titoli sarebbe allora per il governo americano un’operazione sempre più costosa.
“L’economia comincia ad essere in subbuglio a causa degli alti tassi di interesse, il che porta a un rallentamento generale”, osserva Jeff Mills, stratega finanziario presso la PNC Financial Services Group.
Per colpire l’economia americana a Pechino basterebbe ridurre di poco i propri investimenti in treasuries. A giudicare dai crescenti rendimenti dei titoli con scadenza decennale, in Cina stanno già cominciando a sfruttare questa leva.
( tratto da Sputnik)